GUIDA ALLE MACRO-AREE.
Nel corso del processo produttivo della birra, uno dei passaggi più importanti (se non il più importante) per determinare il “carattere” e il contenuto alcolico del prodotto è la "fermentazione" e pertanto al fine di fornire una elementare (ma a volte ancora molto utile) categorizzazione vogliamo dare la priorità a questo criterio. Esso prevede il raggruppamento delle birre in Macro-Aree dettate dagli studi effettuati sui lieviti e sul modo di caratterizzare le fermentazioni.
Abbiamo pertanto:
"Birre da Fermentazioni Controllate con inoculo di lievito ad Alta Ferentazione" come le tradizionali Ale anglosassoni o belghe;
"Birre da Fermentazioni Controllate con inoculo di lievito a Bassa Fermentazione" come le famose Lager tedesche tra le quali Helles, Pils o Bock;
"Birre da Fermentazioni Spontanee" come lo straordinario Lambic belga fermentato grazie all'azione di lieviti selvaggi presenti nell'area della limitata zona di produzione;
"Birre da Fermentazioni Miste" come le Sour o le Wild Beers realizzate con impiego di lieviti convenzionali affiancati da lieviti selvaggi e/o batteri oppure solo da questi ultimi.
Ad essere precisi, le prime due categorie (quelle da Fermentazioni Controllate, in quanto è l'uomo che gestisce la fermentazione voluta mediante inoculo e successivo controllo delle temperature desiderate dal ceppo di lievito utilizzato) includono anche degli stili a fermentazione detta "Ibrida" in quanto per ottenere le birre volute i birrai fanno lavorare i lieviti a temperature inusuali, ma parleremo di loro quando tratteremo lo stile specifico.
Passiamo adesso ad approfondire le quattro MACRO-AREE di classificazione:
"Birre da Fermentazioni Controllate con inoculo di lievito ad Alta Fermentazione".
Dopo quella che possiamo definire come la lunga alba della birra, ovvero l’esteso periodo temporale (si parla di millenni) durante il quale il processo di lavorazione rimase ancorato a tecniche ruotanti attorno a un processo di fermentazione spontanea, dal XII secolo in poi la storia della birra si accompagnerà per diversi secoli con il metodo dell’alta fermentazione. Infatti, anche se non era ancora chiara la funzione dei lieviti, i birrai dell'epoca avevano capito che la schiuma di lento gorgogliamento e i resti della lavorazione appena conclusa (entrambi ricchi di microorganismi) se raccolti a dovere ed utilizzati in un nuovo processo produttivo riuscivano ad attivare il "misterioso" processo della fermentazione ed a conferire un gusto costante alle nuove birre prodotte.
Questa intuizione, determina la nascita della prima forma di "fermentazione controllata" attivata da lieviti ad alta fermentazione (Saccaromyces Cerevisiae) così detti perchè oltre prediligere temperature tra i 13° e 25° e quidi definibili alte, nell'esercitare il proprio metabolismo tendono ad aggregarsi in colonie offrendo una superficie di spinta all'anidride carbonica in tumultuosa risalita verso l'alto.
Il nome d’arte delle alte fermentazione è appunto Ale, termine la cui etimologia rimanda probabilmente alla voce latino alere, ovvero alimentare, nutrire (da cui l’aggettivo altus ovvero alimentato e, dunque, cresciuto in altezza ); ma un’ipotesi alternativa preferisce puntare sulla parentela con il celtico alausa , forse definizione stante per il concetto di birra chiara. Dominatrici della scena per larghissima parte del secondo millennio dopo Cristo, le Ales possono essere immaginate come le appartenenti a un albero genealogico che ha avuto a disposizione molto tempo per ramificarsi in numerose direzioni: ciascuna delle quali corrispondente a una specifica tipologia birraria. Ecco perché molti degli stili storici, soprattutto inglesi e belgi (ma anche alcuni tedeschi, come le Weizen), appartengono alla progenie dell’alta fermentazione.
E veniamo ai tratti organolettici che costituiscono i comuni denominatori di questo ampio, estremamente ampio (e variegato) perimetro stilistico. Ovvero il privilegio di poter annoverare, nel proprio corredo olfattivo, quei toni fruttati che sono ascrivibili a sostanze chimiche (gli esteri) la cui formazione ha luogo, principalmente, appunto nel corso di dinamiche metaboliche (tipiche proprio dei lieviti facenti capo alla specie Saccharomyces Cerevisiae) condotte in regimi di elevate temperature.
Semplificando al massimo: la percezione di note rappresentabili attraverso descrittori quali banana, pera, mela, albicocca, pesca (e così via) in prima o piena maturità è una sorta di indice, di segnale, che induce legittimamente a supporre come la birra in assaggio possa probabilmente collocarsi nel recinto delle Ales. Attenzione, però: la deduzione non sia rigida o, men che meno, dogmatica; vi sono almeno tre dati di fatto da tenere presenti. Primo: alcuni ceppi di lievito ad alta sono sostanzialmente neutri, cioè assai blandamente esterificatori. Secondo punto: tracce di esteri sono riconducibili alla stessa qualità dei malti utilizzati in ricetta: tanto che la loro presenza è ammessa, in quantità minime, anche parlando di tipologie a bassa quali le Bock scure, le Doppelbock, le Baltic Porter e altre ancora. Terza questione: l’avvento sul mercato di luppoli nuovomondisti recanti temi riconducibili a polpe mature (pesca, pera, albicocca) ha in parte modificato il quadro di riferimento precedente, legato in sostanza alla diversa modalità operativa dei fermenti all’opera.
"Birre da Fermentazioni Controllate con inoculo di lievito a Bassa Fermentazione".
Stiamo parlando delle birre più prodotte e bevute al mondo: le Lager, che occupano una quota di mercato pari al 90% circa, sulla scala planetaria; che dominano, per fare un esempio, la scena della maggior potenza europea (per volumi annui sfornati) ovvero la Germania, con i suoi 103 milioni di ettolitri sul ciclo dei 12 mesi; che presidiano in larghissima maggioranza gli scaffali dei punti vendita della Gdo, la grande distribuzione organizzata (ma, attenzione, non ci si fraintenda: non si sta qui tracciando un’equivalenza tra bassa fermentazione e prodotto di relativa qualità).
L’espressione Lager trova origine dal verbo tedesco lagern, immagazzinare (che ricorda proprio la peculiarità della maturazione più lunga di queste tipologie), e comprende tutte le produzioni eseguite secondo il metodo della bassa fermentazione (bottom fermentation in inglese; untergärung in tedesco). Il merito della formulazione di questo conio così pregnante e fortunato, tanto da essere adottato universalmente, spetta ad Anton Dreher il vecchio (nato nel 1810 a Schwechat, nei pressi di Vienna, e qui passato a miglior vita nel 1863), il quale, tra 1840 e 41, progettò e mise in commercio una birra, la Dreher Schwechater Lager, la cui etichetta per prima esibiva una dicitura, quella di Lager appunto, che dopo di essa sarebbe passata a designare l’intera progenie di appartenenza. Progenie che riceverà l’impulso decisivo a marciare (tra Ottocento e Novecento) verso una graduale conquista del mercato grazie a due fattori: primo, l’entrata in scena, nel 1842, della Pilsen, ideata e lanciata a Plzeň dal birraio monacense Josef Groll, padre della prima Lager chiara della storia; secondo, gli effetti della rivoluzione industriale, tali da mettere a disposizione (a qualsiasi latitudine e in qualsiasi periodo dell’anno) attrezzature per la refrigerazione artificiale.
Protagonisti indiscussi della tecnica a bassa fermentazione sono i ceppi di lievito facenti capo alla specie denominata Saccharomyces Carlsbergensis o Pastorianus, che amano temperature di lavoro più basse (tra i 5 e i 12 gradi) rispetto alle varietà della specie Cerevisiae (con il quale si producono Ale) ovvero le alte fermentazioni); e che, durante il processo, mantenendo le proprie cellule isolate (dunque non in grado di offrire una superficie di spinta all’andride carbonica in tumultuosa risalita) , tendono a depositarsi sul fondo del tino.
La decisamente ampia categoria dei prodotti a bassa fermentazione comprende numerosi stili tradizionali dei repertori tedesco e ceco come Pils, Bock, Marzen, Vienna, Schwarz e via dicendo; ma anche generi più moderni e di diversa ascendenza geografica, quali le American Lager, le India Pale Lager, le Imperial Pils.
Tratto comune a tutte le Lager è la mancanza nel proprio corredo olfattivo (quantomeno in termini di incidenza realmente significativa), dei toni fruttati ascrivibili a sostanze chimiche (gli esteri) che si formano principalmente nel corso dei processi ad alta fermentazione, in virtù dello stesso regime di elevate temperature nel cui contesto operano i lieviti della specie Saccharomyces Cerevisiae. Peraltro, tracce di esteri sono riconducibili alla stessa qualità dei malti utilizzati in ricetta: tanto che la loro presenza è ammessa, in quantità minime, parlando di tipologie quali le Bock scure, le Doppelbock, le Baltic Porter e altre ancora; inoltre, l’avvento sul mercato di luppoli nuovomondisti recanti temi riconducibili a polpe mature (pesca, pera, albicocca) ha in parte modificato un quadro di riferimento i cui fondamenti, tuttavia, restano solidi: nelle birre a bassa fermentazione, i contributi a definire il profilo organolettico del prodotto vengono, essenzialmente, dai cereali di partenza e dagli appena citati luppoli impiegati in amaricatura e aromatizzazione.
"Birre da Fermentazioni Spontanee".
Nel corso del tempo il processo di fermentazione della birra si è differenziato in diverse tipologie, ad oggi possiamo contarne quattro. La "Spontanea" è la più antica ed è quella che non prevede l’inoculo da parte dell’uomo del lievito, ma si attiva in modo (appunto) spontaneo grazie ai lieviti presenti naturalmente nell’aria. E' quella che ha dato vita alle prime proto-birre prodotte da mano umana, probabilmente già 3 o 5mila anni prima di Cristo.
Si tratta di un genere birrario ancestrale, una vera e propria scheggia vivente di archeologia brassicola la cui tradizione si è conservata nei secoli grazie ad alcune comunità residenti in un fazzoletto di territorio belga (500 chilometri quadri più o meno) situato a sud-ovest di Bruxelles e attraversato dal fiume Zenne; un distretto geografico noto con il nome di Pajottenland. Qui le fermentazioni spontanee hanno assunto un preciso nome d’arte: Lambic (in francese) o Lambiek (in fiammingo), termine da declinare al maschile (preceduto dall’articolo il) che probabilmente deriva dal nome di un villaggio locale "Lembeek" noto fin dal Medioevo per la copiosa produzione di fermentazioni spontanee.
Come già anticipato sopra, la fermentazione avviene in modo spontaneo grazie all'azione di microorganismi (batteri lattici, ad esempio) e lieviti selvatici (del genere Brettanomyces , comprendente specie quali il Bruxellensis, il Lambicus e il Claussenii) naturalmente presenti nel microecosistema locale e nelle cantine. Il processo produttivo prevede che il mosto (assai particolare: contenente almeno il 30% di frumento crudo e, soprattutto, trattato con luppoli invecchiati, tali da assumere una curiosa nota di formaggio) venga trasferito in una vasca larga, bassa e completamente aperta (il coolship ) situato nelle arieggiate soffitte dei birrifici per poter essere aggredito dai microorganismi presenti nell'aria prima di essere trasferito in botti dove troverà l’abbraccio ulteriore di popolazioni microbiche ancora diverse, quali i batteri acetici.
La gestazione di un Lambic implica tempi assai lunghi (si tratta di un’articolata staffetta metabolica alla quale concorrono, come accennato, numerosissimi fermenti di varia natura): si può arrivare fino a 3 anni in botte e a due di maturazione supplementare in bottiglia. Il carattere organolettico che ne discende è arcigno e mordace: con sensazioni che ricordano la muffa, il sudore, il cuoio, lo yogurt, il limone, l’aceto di mele, il formaggio (come detto), il rigurgito; il tutto accompagnato da un’acidità dannatamente spiccata.
Per ingentilire il temperamento del Lambic in purezza (Straight Lambic), ne vengono preparate versioni mitigate (in qualche modo: mica tanto, però…) quali la Gueuze, il Faro, le varianti con frutta (Kriek, Framboise e altre), per le specifiche delle quali rimandiamo ai link riportati in calce.
Da sottolineare infine come, per rispetto al ruolo avuto dal Belgio nel proteggere e tenere in vita la pratica delle fermentazioni spontanee, queste ultime solo qui vengono etichettate con la dicitura di Lambic, mentre altrove (assai interessanti esperienze sono in atto da anni un po’ ovunque nel mondo, specialmente negli Stati Uniti e in Italia) si opta per qualifiche diverse, quali Sour o Wild Beers.
"Birre da Fermentazioni Miste".
La caparbietà e l'attaccamento al loro territorio, ha consentito ad alcune comunità residenti in ristrette aree geografiche del Belgio (Fiandre Orientali ed Occidentali) di preservare la produzione ed il consumo di particolarissime birre prodotte utilizzando una tecnica di fermentazione ancora più diversificata di quelle già esposte in precedenza.
Stiamo parlando della "Fermentazione Mista" e di una manciata di birrifici che con le loro creazioni ci portano a scoprire nella birra sensazioni gustative molto simili ad un vino di ottima qualità. Il termine "Mista" fà subito intendere che questo processo di fermentazione preveda qualcosa di diverso e pertanto di seguito spieghiamo cosa e come.
Una volta ottenuto il mosto, la fermentazione dello stesso avviene in due distinte fasi:
La prima fase (fermentazione primaria in fermentatori d'acciaio inox) lo vede esposto all'azione di lieviti convenzionali appartenenti alla specie Saccharomyces Cerevisiae che prediligono temperature ambientali da tenere nel range dei 15°-25°.
La seconda fase invece (seconda fermentazione e maturazione), prevede il travaso della birra "giovane" contenuta nel fermentatore d'acciaio in enormi tini di legno detti "Foeder", a cui segue una seconda fermentazione attivata dalla flora batterica (acido lattico e acetobatteri) e dall'azione dei lieviti selvatici (Brettanomyces) presenti nel legno dei tini e in cantina. Questa fase risulta molto complessa e mette a dura prova l'abilità del birraio, prevede dei periodi di tempo abbastanza lunghi (18-24 mesi) ed il prodotto finito può anche risultare un blend delle birre di varie botti.
Con l'avvento della Craft Beer Revolution e quindi già da qualche decennio, alcuni "Ciceroni della Birra" molto competenti e fortemente considerati hanno cominciato a dare più visibilità a questa particolare nicchia di mercato e questo ha stuzzicato la curiosità di un numero di consumatori sempre più crescente. I consumi di queste birre registrano oggi discreti livelli di crescita su tutto il globo e pertanto molti birrai di aree geografiche anche diverse prendendo spunto dai maestri Belgi hanno incluso nella loro proposta qualcosa simile a queste creazioni.
Infatti, la tendenza di fermentare il mosto direttamente nelle botti attivando la fermentazione mediante inoculo di batteri o lieviti selvatici (quindi non utilizzanzo i convenzionali Saccharomyces) stà coinvolgendo tanti microbirrifici ed è particolarmente vivace nel nostro paese. Si stà andando verso una ulteriore diversificazione del processo fermentativo ma, comunque al momento è opinione diffusa di includere questi prodotti nella Macro-Area delle "Fermentazioni Miste".
Le "Acide" o anche "Sour", denominazione data a tutta questa complessa categoria di birre, oggi proposte sia in chiave tradizionale che moderna sono sensibilmente aumentate come numero di etichette rispetto al passato e l'estro dei birrai più competenti ci stà regalando nuove sensazioni gustative sempre più complesse ed affascinanti.